sabato 16 giugno 2007

Vi ho mai parlato di quando sono stato nello spazio?

La settimana scorsa, ho assistito ad un evento che entrerà a far parte del pantheon dei miei eventi storici.
Per vari motivi, ho avuto la possibilità di essere invitato ad osservare il lancio del primo satellite della costellazione Cosmo.
Questi satelliti per l'osservazione della terra, portano l'Italia ai vertici della tecnologia aerospaziale.
Ma non è per lucidare le medagliette italiane che ve ne parlo.
Vorrei provare a circoscrivere l'evento stesso del lancio.
Alle quattro e venti del mattino, ora locale, in questi casi è d'obbligo specificare di che ora si tratti, era previsto quello che è chiamato lift-off, il lancio vero e proprio.
Un vettore della Boeing avrebbe portato in orbita il suo carico, un po' come un camion della SDA porta la posta.
Le personalità erano tante e importanti e tutti si complimentavano e si ringraziavano a vicenda.
Ma chi veramente stava vivendo il momento erano le persone coinvolte nel progetto.
Parlo dei tecnici e di tutte quelle figure che per anni hanno lavorato a quell'ammasso di alluminio e alta tecnologia.
Sono emozionati e nervosi, anche se magari non lo danno a vedere.
Sono professionisti e sanno cosa fare, però in quei momenti la tensione deve essere tanta.
Eravamo in collegamento video sia con la base di lancio sia con il laboratorio del Fucino. Negli States, nella sala “stampa” gli ospiti si preparavano a seguire il pennacchio di fumo che avrebbero visto nascere all'orizzonte e morire nella volta celeste, ma le telecamere erano anche puntate nella control room, dove le persone di cui parlavo prima eseguivano gli ultimi controlli e speravano che il vettore facesse il suo dovere.
Dieci minuti al lancio.
Una voce femminile scandisce la check list e una voce maschile rimpalla con un ok, chissà perché queste voci sono tutte uguali, come i commentatori dei documentari.
Cinque minuti al lancio.
La tensione sale, del fumo bianco esce dal vettore, sarà azoto? Mah, chissà a cosa serve, magari è scenografia, mi vengono alla mente le immagini dei film della serie Dr. Quartermass.
Lancio rimandato di dieci minuti.
La regia manda in onda la diretta della control room, le facce sono tese, darei chissà cosa per poter vivere quel momento, io non so cosa è successo e non so neanche se lo sanno loro gli uomini del Cosmo.
Forse solo i tecnici della Boeing sono a conoscenza del problema?
E' un problema?
Al momento un poco di preoccupazione m'è venuta, queste sono faccende delicate, poi qualche pensiero a cosa sarebbe successo se il lancio fosse stato rimandato, sarei riuscito a ritornare ad assistere all'evento?
Alcune pelate sono più lucide del solito, sarà il sudore dell'emozione, l'aria condizionata o forse solo la mia immaginazione?
Finalmente la voce femminile riprende la sua cantilena di controllo.
I minuti passano velocemente.
E con una naturalezza che impressiona, il razzo parte e si alza.
La potenza è impressionante, certo un razzo che parte l'ho visto tante volte in tivvu, sia i grandi TIR spaziali Russi, sia gli eleganti Arianne, sia il pulmino spaziale americano, però vederlo in megaschermo e sapere che esattamente in quel momento (o quasi) quell'oggetto si stacca dalla superficie terrestre per andare nello spazio è proprio un'altra cosa.
Ok il razzo è andato, la strada è lunga, si vede la scia, chissà se ha la marmitta catalitica.
Leggo il foglietto con i tempi che ci hanno dato all'accoglienza e osservo il mio cronometro, mi sento quasi parte del momento.
Ora dovrebbero staccarsi i razzi a combustibile solido, ora si stacca il primo stadio e così via, senza sorprese, come deve essere.
Oramai i potentissimi zoom montati sulle telecamere di terra hanno perso di vista il vettore, all'inizio si vedeva perfettamente la sagoma del missile che saliva, con la grossa coda di fuoco, poi il missile sé girato e ci ha mostrato impunemente il sedere, poi è sparito della notte siderale, là dove fa tanto freddo che gli atomi quasi non si muovono e fa tanto caldo che gli atomi quasi non hanno identità.
Ora dobbiamo solo aspettare che arrivi al casello “orbita giusta” e lasci andare il piccolo satellite italiano.
Controllo il cronometro come se servisse a qualche cosa, ma mi piace lo stesso.
I minuti passano in fretta soprattutto grazie al buffet offerto dai nostri ospiti, certo c'è una ressa da metrò al mattino di lunedì, però è bello vedere tante facce, tante persone che, foss'anche solo empaticamente partecipano a questa avventura spaziale.
Torniamo nella grande sala e con un'affermazione rotolata svogliatamente dalla bocca del presentatore ci avvertono che il satellite ha avuto l'AOS, il primo contatto con la base del Fucino.
Ma come, il primo vagito del nostro satellite è avvenuto così in sordina?
Io mi sarei aspettato almeno di vedere un monitor che si riempiva di scritte incomprensibili, un grafico che si lanciava in un picco, che ne so, qualche cosa!
Però il pensiero torna subito ai nostri uomini del Cosmo che stanno nella control room e quelli che stanno al centro di ascolto del Fucino.
Per loro il vagito deve essere stato un grido seguito da un sospiro di sollievo.
I solar array si sono dispiegati e le antenne sono attive, vive!
Questo per loro deve essere stato il momento di maggior attività, momento che si protrarrà per i giorni a seguire, in cui verranno effettuate tutte le manovre per rendere il satellite operativo.
Ora il lavoro è finito, ora il lavoro inizia.
Piano piano, dalla grande sala, la gente se ne va e l'alba è passata, sono le sei e dieci del mattino.
Per me la sveglia così presto è quasi normale, abituato a svegliarmi la notte per iniziare le mie salite invernali, però tante persone non sono abituate e le facce sono stanche.
Alcuni torneranno a casa, altri andranno a lavorare, i più giovani forse andranno a scuola.
A me spetta una giornata in ufficio, ho vissuto un piccolo momento di gloria, schegge riflesse di un successo spaziale mi hanno sfiorato.
Anche se solo con la vista ho viaggiato nello spazio anche io.

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sabato 9 giugno 2007

C'era una volta una casa.

Questa storia nasce molti e molti anni fa, al tempo di Nonna Enrica e nonno Nicola.
Questi due simpatici signori erano i miei bisnonni.
Io li ricordo ancora con tanto affetto, Nonno Nicola era, per me bimbo, un gigante dalla testa calva, sempre pronto a scucire una mancetta e a elargire un sorriso.
Nonna Enrica più mite era proprio una Nonna professionista e anche se a me incuteva qualche soggezione, la ricordo molto dolce e gentile.
Vivevano in una grande casa di campagna vicino il paese di Farnese, ed io da bimbo, ogni tanto li andavo a trovare.
Fu lì che venne dato il nome a colui che divenne per molti anni il mio più caro amico, un piccolo (che piccolo non era) bassotto color marrone, Krikky Kripton Kristofer, ovviamente per tutti era Krikky, ma questa è un'altra storia.
Quella casa è stata il fulcro delle estati per tutta la generazione dei nipoti di Nonno Nicola e Nonna Enrica.
Un cospicuo battaglione di bambini e bambine che scorrazzavano e giocavano per le stanze, i saloni, i campi, infastidendo a volte i pacifici maiali e rincorrendo i polli.
Quando vennero a mancare i bisnonni, la loro grande casa, villa Lucattini
cadde in un periodo piuttosto buio, i grandi saloni, un tempo luogo di memorabili partite a ping pong erano divenuti silenziosi, non c'erano più bambini o ragazzi a correre per i suoi campi, la casa era desolata e disabitata.
Qualche anno dopo, una bi-Zia, con un coraggio da leoni e un'incoscienza degna di un'adolescente, prese “la casa per le maniglie” e la trasformò in una scuola d'arte ed agriturismo.
Brava Zia Mina.
Grazie all'ospitalità di questa coraggiosa Zia, alla buona volontà dei “bimbi di Farnese”, ora tutti adulti e stimati professionisti e all'organizzazione “pressante” di mia mamma, la più vecchia dei “bimbi di Farnese” è diventata tradizione la festa di primavera.
Una grande riunione di una grande e ramificata famiglia sparsa un poco ovunque.
I bimbi di Farnese ora portano i figli e alcuni i figli dei figli.
Ci si riunisce a primavera e a primavera si riunisce virtualmente una bella fetta di mondo.
C'è chi viene dall'Olanda, dalla Germania, chi dagli Stati Uniti e chi dalla Venezuela e chi dalla Polinesia.
Per non parlare dell'Italia.
Persone di tutti i tipi si ritrovano, esperienze diverse e vite divergenti, almeno per un giorno si incontrano.
Chi più chi meno, legati a villa Lucattini, alla sua storia, ai suoi abitati e alla sua vena artistica che ci ha contagiato e ha guidato le nostre vite, ma qui comincia un altro racconto.

Grazie Nonna Enrica, grazie Nonno Nicola e un grazie a tutti i “bimbi di Farnese”.

domenica 3 giugno 2007

L'Italia, paese di gommapiuma?


Giovedì c'è stata una riunione condominiale.
Durante questa riunione, ho esposto una proposta che mi frullava per la mente da qualche tempo.
L'idea era semplice ma efficace; nel parcheggio di proprietà condominiale c'è un bel muro di tufo alto due metri e mezzo e lungo quasi quattro, a mie spese lo avrei attrezzato con un certo numero di appigli in resina per l'arrampicata sportiva.
Lo avrei, in pratica, trasformato in un boulder.
Il boulder è fondamentalmente un basso muro arrapicabile, dove è possibile sfogare la propria voglia di movimento senza incorrere nei pericoli della gravità.
Il pensiero era andato a quei bambini che frequentano il parcheggio il cui unico diversivo è il pallone.
Non me lo aspettavo ma la proposta è stata accettata di buon grado.

La possibilità di dare ai bambini e perché no, ai grandi un gioco diverso è piaciuta.
E' stato però l'amministratore a freddare immediatamente gli animi.
La legge italiana è irremovibile.
La responsabilità sarebbe del condominio, qualunque cosa succeda e qualunque cosa si scriva.
Ovviamente, l'idea è morta.
Questo m'ha fatto riflettere.
E' possibile che viviamo in un paese dove la responsabilità delle proprie azioni non esista?
E' possibile che lo stato si comporti come una madre troppo premurosa, che per il bene dei figlioletti gli fa indossare la maglia di lana ad agosto?
Io ho l'impressione di si.
Pur di proteggere i propri cittadini, si impedisce loro di crescere impedendogli di imparare cosa è bene e cosa è male.
Vengono imposti limiti di cinquanta chilometri orari su strade di scorrimento come, per chi la conosce, la Tiberina alle porte di Roma.
Si regolamenta il regolamentabile e si mette in sicurezza qualunque cosa che la fervida immaginazione del legislatore partorisce.
M'è capitato di vedere un sentiero chiuso per pericolo frane, sicuramente, poiché il sentiero passava sotto delle alte rupi il pericolo esiste ed era sempre esistito, da quando quel sentiero era stato creato, probabilmente molte, ma molte centinaia di anni fa.
Qualunque cosa sta in alto può prima o poi cadere.
Io e il mio compare in quel momento pensammo che un bel cartello “Si sconsiglia di percorrere il sentiero, se lo si percorre lo si fa a proprio rischio e pericolo”, sarebbe stato più che sufficiente, ma forse sbagliavamo.
I bimbi piccoli vanno protetti, ma quale è il limite che impedisce al bimbo di imparare la prudenza?
Con un veloce sguardo oltralpe, si nota subito la differenza, si nota spesso, uno stato presente ma non oppressivo, provate a fare un salto in Francia e notate dove sono messi i limiti di cinquanta chilometri orari.
Io la prima volta per poco non uscivo di strada, abituato ai limiti italiani piazzati a casaccio ho imboccato una curva un poco allegro, ma loro mi avevano avvertito, cinquanta!
Prendere quelle curve francesi con una velocità anche di pochissimo superiore, sarebbe stato degno del rally di Montecarlo.
Perfino negli U.S.A. dove ci sono tanti avvocati quanti piccioni a Roma e si denuncia come da noi ci si lava i denti la gente è più portata alla responsabilizzazione.
Pensate che costruiscono perfino degli skate park nei parchi pubblici.
Ma ve la immaginate a Roma una bella struttura tutta dossi, rampe e halfpipe in piena villa borghese, con decine di ragazzi e ragazze che volteggiano?
Sarebbe altrettanto piena di mamme e papà terrorizzati che i loro ragazzi si possano far male.
Meglio a casa davanti alla televisione a vedere Costantino, qualche bel reality o del sano wrestling.
E quando più grandicelli, delle sane notti in discoteca.

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venerdì 1 giugno 2007

Nasce Residui

Eccomi finalmente al varco.
Doveva capitare prima o poi di trovarmi nel bel mezzo del dilemma blog o non blog.
Alla fine ho ceduto al narcisista che vive in me.
E allora eccolo qui, il mio neonato blog ha visto la luce.
Spero che egli cresca con l'aiuto della sua parte più importante,
i lettori, e che mi aiuti a crescere e a conoscere meglio l'animo umano.
Tenterò per quanto possibile di tenerlo aggiornato.
Questo lo dico subito, non sarà moderato, come non lo sono io.
Potranno capitare dei casi eclatanti, ma verranno valutati coi partecipanti.
Esprimete i vostri commenti in libertà, non c'è offesa se c'è onestà.

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